Giugno in Giappone è il mese della pioggia ma non di acquazzoni, bufere e diluvi devastanti piuttosto di una pioggia che avvolge e allegerisce ogni cosa. Un’acqua che lava e purifica ed è delicatezza, dolcezza e quiete, ma anche vita e rinascita. In questo periodo dell’anno la natura si fa rigogliosa, le città si trasformano e migliaia di ombrelli trasparenti e colorati offrono uno spettacolo incredibile anche nelle strade della trafficata Tokyo, mentre le ortensie fioriscono a migliaia nelle vie, nei parchi e nei templi con le loro mutevoli gradazioni che ci ricordano i passaggi della vita.
Per circa sei settimane il paese viene accompagnato dallo tsuyu 「梅雨」 che significa letteralmente “pioggia di prugne” proprio perchè questo periodo corrisponde alla stagione della raccolta delle prugne, in giapponese ume 「梅」. Simili nell’aspetto alle nostre albicocche, provengono da una varietà asiatica dell’albicocco Prunus Mume, molto diversa da quel frutto dolce che noi conosciamo, bensi dal sapore molto aspro e pregnante che qui è presente in una vasta gamma di prodotti, partendo dalle umeboshi 「梅干し」, prugne secche, umeshu 『梅酒」, liquore di prugne e umezu「梅酢」, aceto di prugne, solo per citarne alcuni.

Oggi questi prodotti trovano posto sulle tavole del Giappone ma, quando questo frutto fu introdotto per la prima volta in Giappone all’incirca 1500 anni fa dalla Cina con il nome di ubai 「烏梅」, non era visto come un cibo bensi come una medicina. Queste piccole prugne macerate nel sale vengono infatti citate nella farmacopea cinese risalente a 2000 anni fa. Le umeboshi compaiono anche nei testi letterari del periodo Heian ed anche nel più antico testo di medicina giapponese sopravissuto, Ishinpo 「醫心方」, completato nel 984 da Tanba Yasuyori, dove vengono elencate le virtù medicinali di questo frutto. A partire dal XII secolo, il suo uso divenne molto popolare tra sacerdoti e samurai che gli attribuivano effetti estremamente benefici, fino a diventare una medicina popolare nel periodo Edo, come descritto nelle pagine del Wakan Sansai Zue 「和漢三才図会」, un’enciclopedia illustrata pubblicata nel 1712 che la definiva “una medicina benefica per il sangue e la milza”. Si tratta di un alimento ricco di carboidrati e di sali minerali, di fibre e composti antiossidanti. Amiche del fegato in quanto lo purificano, stimolando l’eliminazione delle tossine, sembrano essere utili anche per contrastare le infezioni, favoriscono l’equilibro del metabolismo osseo e contribuiscono al buon funzionamento dei muscoli. Per questo tonificano il corpo e combattono la fatica mentre l’acido citrico aiuta l’assorbimento del ferro. Insomma come dire “una prugna al giorno”…
Prepararle diventa quasi un rito di passaggio in questo periodo dell’anno, quando questo frutto compare nelle bancarelle dei mercati e sugli scaffali di tutto il Giappone, perchè questo è il momento in cui il suo succo possiede il livello massimo di acidità. Il procedimento è semplice ma richiede alcune attenzioni. Prima vanno lavate accuratamente e immerse nell’acqua per una notte in modo da togliere il sapore amaro. Vanno dunque asciugate e private dei piccioli utilizzando uno stuzzicadenti o la punta del coltello ma facendo bene attenzione a non incidere la supeficie. Andranno poi disposte in contenitori appositi, coperte di sale e schacciate da un peso e lasciate a riposare in un luogo fresco e buio. Nelle settimane successive il sale compirà il lavoro di estrazione del succo, dando inizio al processo di fermentazione. Solo alla fine di luglio le prugne vanno tolte dai contenitori e lasciate ad essiccare sopra apposite stuoie, al sole cocente dell’estate per tre giorni consecutivi. I frutti con la loro pelle rugosa ma carichi di benessere sono ora pronti per essere riposti nei barattoli a stagionare, in modo da permettere lo sviluppo di quel sapore cosi intenso e speciale che ci accompagnerà per un nuovo anno.
