Salsa di soia: quel tocco di bon ton!

Condire significa senz’altro rendere un cibo più gradevole aggiungendo alcune sostanze che caratterizzano la cucina di ogni paese. Cosi se in Italia per insaporire i nostri piatti facciamo largo uso di olio d’oliva, il Giappone utilizza la salsa di soia o shoyu [醤油].

Questo condimento nato in Cina durante la dinastia Zhou, venne introdotto in Giappone alla fine del VII secolo ad opera dei monaci buddhisti che lo utilizzavano per insaporire la loro cucina, allora prevalentemente vegetariana dato che carne e pesce erano vietati da questa religione. In sostanza si tratta di una salsa fermentata il cui sapore viene definito con il termine “umami” (旨味), oggi conosciuto come il quinto gusto dopo il “salato”, “acido”, “dolce”, amaro”, in parte dovuto al contenuto naturale di glutammato monosodico. La sua scoperta  avvenne nel 1908 grazie a  Kikunae Ikeda, professore nel dipartimento di chimica della Tokyo Imperial University. Studiando il sapore del konbu dashi, il brodo ricavato dall’ebollizione dell’alga marina konbu, il professor Ikeda scoprì infatti l’esistenza di questo sapore unico, che non può essere creato tramite la combinazione di altri ingredienti.

Dr_-Kikunae-IkedaSi tratta dunque di un condimento naturale prodotto utilizzando sostanzialmente quattro elementi: semi di soia, frumento o orzo, acqua e sale. I semi di soia vengono prima immersi in acqua e poi cotti al vapore a temperature elevate. Il frumento viene tostato sempre ad alte temperature e poi schiacciato per facilitarne la fermentazione, mentre il sale viene sciolto in acqua. La muffa koji di cui abbiamo già parlato nel post Il sake e l’estetica del gusto è uno degli elementi più importanti nella sua preparazione e svolge un ruolo fondamentale nella fermentazione degli ingredienti che può durare anche alcuni mesi determinando la chiave del gusto. Questa salsa si usa prevalentemente in purezza, oppure aggiunta ad altri condimenti come aceto, succo di agrumi, zenzero, olio, sesamo, e viene utilizzata per insaporire carne, pesce, sushi, sashimi, tofu ed ogni tipo di verdura, sia cruda che cotta, ma anche per la preparazione di zuppe e minestre.

SoiaIn Giappone ne troviamo di varie tiplogie che possono essere riassunte in cinque varianti.

Koikuchi (濃口), dal sapore ricco, profondo come indica appunto il suo nome, è considerata come la tipica salsa di soia giapponese con una produzione pari all’80%  del totale; contiene approssimativamente la stessa quantità di soia e grano, oltre a  sale e lievito. Sin dal periodo Edo la sua produzione si è sviluppata intorno alla regione del Kanto, cui fa capo Tokyo. Presenta un buon equilibrio tra profumo, colore e sapore adattandosi dunque ad una buona varietà di piatti tra cui bolliti, cotti al forno, zuppe e come base per condimenti.  Usukuchi (薄口), dal colore leggermente più chiaro rispetto alla precedente come indica il suo nome dato che usui significa appunto “leggero, palido”; contiene spesso anche glutine di frumento o amazake, un tipo di sake dolce. Rappresenta il 13% circa della produzione giapponese di soia ed ha un contenuto di sale leggermente piú elevato rispetto ad altre tipologie. È particolarmente adatta ad esaltare il sapore di pesce, verdure, minestre a base di verdure o udon anche grazie alla sua tonalità chiara ed un profumo molto delicato.  Tamari (溜), priva di frumento e dunque adatta anche a chi ha problemi di celiachia o altre intolleranze alimentari, venne scoperta per caso intorno al XII secolo sempre ad opera  dei monaci buddhisti.  In origine definiva semplicemente quel liquido che si formava come un deposito (tamari) sulla superficie del miso fermentato e presentava una maggiore densità, più sapore ma una sapidità minore rispetto alla precedente. La sua produzione è oggi pari al 2% della produzione totale del Giappone; concentrata nelle prefetture di Mie, Aichi e Gifu con una tradizione seguita da un numero limitato di aziende per lo più artigianali che si tramandano i segreti da generazioni. Saishikomi (再仕込み), ottenuta dalla doppia fermentazione della Koikuchi -il suo nome indica infatti la doppia preparazione- e dunque molto più scura e con un sapore molto aromatico. La sua produzione tradizionalmente originaria della prefettura di Yamaguchi, rappresenta circa l’1% della produzione totale dunque utilizzata prevalentemente per esaltare sashimi e sushi.   Shiro (白), ha una colorazione molto chiara come indica il suo nome che significa “chiaro, bianco”; prodotta principalmente con il grano ed un tempo di fermentazione molto breve. Anche in questo caso la produzione nazionale è inferiore all’1% con un contenuto di sale intorno al 18%. Sviluppata alla fine del periodo Edo principalmente nel distretto di Mikawa, costituisce un prodotto relativamente recente. Il suo colore e sapore leggero si adattano principalmente a piatti di verdure bollite, zuppe o udon.

TamariUn prodotto nobile ed un eccellenza della produzione gastronomica del Giappone, accompagna la sua cucina  da secoli con il suo “umami” che rende appetitoso ogni genere di piatto, sia cotto che crudo. È bene però ricordare che, così come non condiremmo i nostri piatti con un uso smodato di olio d’oliva, la salsa di soia non dovrebbe mai essere utilizzata in abbondanza, lasciandoci assaporare la fragranza della materia prima che costituisce il fondamento della cucina giapponese. Ma non solo. Un uso eccessivo nel piattino è visto anche come segno di scarsa educazione e dunque meglio evitare intingoli traboccanti di soia e wasabi in cui far navigare le povere fettine di sashimi.  In Giappone gli eccessi non sono mai visti di buon occhio, non solo in cucina, quindi largo alla moderazione. Aspettiamo qualche secondo prima di avventarci sul cibo; guardiamo i colori, la disposizione delle pietanze, le porcellane che li accompagnano; impariamo a gustare anche con l’olfatto apprezzando ogni singolo boccone con tutti i sensi. La salsa di soia va usata in modo contenuto, mettendone solo qualche goccia nel piattino del sushi o per insaporire altre pietanze. Impariamo a dosarla un pò alla volta dimostrando quel tocco di vera eleganza che fa onore a questa cucina, non solo nelle grandi occasioni ma anche nel più semplice dei pasti.

washoku

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