C’era una volta…

Inutile nasconderlo le favole piacciono un pò a tutti, forse perché racchiudono quel fondo di verità che a volte fa bene ricordare non solo ai bambini.
Anche il Giappone ha una tradizione di miti e leggende che si tramandano fin dall’antichità e tra questi gli Otogi-zōshi (御伽草子), delle brevi narrazioni in prosa illustrate, scritte tra il XIV e XVII secolo, che formano uno dei generi letterari rappresentativi del Medioevo giapponese. L’appellativo deriva da “togi” che letteralmente significa “tenere compagnia”  ma venne coniato solo intorno al XVIII secolo quando un editore di Osaka, Shibukawa Seiemon, pubblicò un’antologia di 23 brevi storie illustrate, da lui stesso selezionate all’interno di un vasto gruppo di racconti dal titolo “Shūgen otogibunko” (Biblioteca di Compagnia). È così che il termine venne successivamente a designare tutte le opere del periodo Muromachi o del primo periodo Edo aventi lo stesso stile.
Tsuru no ongaeshi
Gli otogi-zoshi fondono dunque testo scritto e illustrazioni in vari formati,  tra cui gli e-maki (rotoli dipinti) o nara ehon (libri illustrati impressi con matrici di legno di grandi dimensioni). La maggior parte di questi racconti fantastici, popolati spesso da animali mitologici, mostri e demoni, hanno una trama semplice che ruota comunemente intorno ad una figura eroica sottolineando concetti di interesse universale come l’amore, la famiglia, il matrimonio, temi più spirituali o avventurosi quasi sempre a fine didattico. Solo alla fine del XIX secolo questo stile letterario, un tempo denigrato rispetto alla letteratura aristocratica dei periodi Heian e Kamakura, attirò l’attenzione degli storici della letteratura moderna sottolineandone la vitalità e l’interesse intrinseco, che incorpora vari elementi ancora riscontrabili nel Giappone di oggi e recuperati a livello popolare anche da molti manga ed anime.
tsuru no ongaeshi text
Qualche mese fa ho avuto modo di visitare il tempio Unryu-in di Kyoto fondato nel 1372 dall’Imperatore Gokogon (1338-1374), noto soprattutto per le spettacolari vedute  sui giardini interni e numerosi dipinti. All’ingresso, dopo aver tolto le scarpe ed aver indossato delle calde pantofole in lana, perfette per camminare sulle tavole del tempio, ci hanno chiesto se, durante la visita, avremmo gradito fare una pausa in una stanza a scelta, accompagnati da una tazza di matcha. Tra tutte, una in particolare ci ha colpito per quest’angolo dove spiccava l’immagine di una gru ed una luna riflessa sul pavimento che creava un effetto molto singolare. In Giappone la gru è il simbolo della longevità e della salute, spesso utilizzata come decoro per il kimono della sposa o  associata ad occasioni augurali come il nuovo anno, una nascita ma anche per chi intraprende una nuova esperienza. È in questo  spazio senza tempo, tra gli effluvi del matcha, mischiati all’odore del legno e del tatami, che la favola della tradizione folkloristica del Giappone “la gratitudine della gru” si è  fatta largo tra i ricordi.
Unryu-in

“C’era una volta un’anziana coppia che viveva serenamente in una capanna in mezzo ai boschi; la vita dei due scorreva placida, anche se a volte la solitudine si faceva sentire, dato che non avevano figli. Un giorno, mentre il marito stava raccogliendo legna per il fuoco, sentì un disperato lamento provenire dalla palude vicino al luogo in cui si trovava. Incuriosito, il vecchio si diresse in quella direzione, dove vide una stupenda gru bianca con una zampa bloccata nella trappola di un cacciatore. Il buon uomo non esitò un attimo, ed entrando nella fredda fanghiglia, raggiunse la povera bestia e la liberò; questa si alzò in volo verso il cielo che già preannunciava la neve, volteggiò un po’ sopra il suo salvatore emettendo grida di gratitudine, e poi se ne andò. Quella sera, davanti al focolare, l’uomo raccontò a sua moglie quanto gli era accaduto quel giorno e, mentre stavano ormai per accingersi ad andare a dormire, qualcuno bussò alla porta. Il vecchio andò ad aprire chiedendosi chi mai poteva trovarsi di notte in mezzo al bosco e sotto la neve, e la risposta fu sorprendente: si trovò infatti davanti una ragazzina dai modi gentili che chiedeva ospitalità per la notte, in quanto si era persa. La moglie si affrettò a farla entrare al caldo per asciugarsi e mangiare qualcosa, e preoccupata le chiese cosa mai ci facesse una ragazzina in mezzo al bosco tutta sola. Lei dichiarò di essere in viaggio senza una meta, e il vecchio pensò fra sé e sé che doveva esserle capitata qualche sciagura; così, senza indagare troppo per non essere scortesi, gli anziani coniugi chiesero alla ragazza di restare per far loro compagnia. Lei accettò con entusiasmo, ringraziò, e tutti andarono a dormire sereni. Il giorno dopo, prima del sorgere del sole, la ragazzina si alzò e si diresse in cucina per preparare la colazione ai suoi ospiti, ma trovò la dispensa completamente vuota. L’unica cosa a portata di mano era una cesta piena di spole di filo; lei le prese e si chiuse nella stanza da lavoro vicino alla cucina. Quando i due vecchietti si svegliarono sentirono provenire da quella direzione un rumore di telaio in azione; non vedendo la loro ospite nel suo letto si chiesero cosa stesse facendo, e la risposta non si fece attendere: la ragazza uscì dalla stanza con un rotolo di broccato dai colori bellissimi e rappresentante una gru nell’atto di spiccare il volo. I due rimasero stupiti, e ringraziarono più volte la giovane quando questa lo regalò loro perché lo vendessero, in modo da guadagnare un po’ di denaro per acquistare viveri per l’inverno.

Il giorno stesso l’uomo si recò in paese e vendette il tessuto per un ottimo prezzo; con il ricavato, poi, acquistò vivande per tutti e tre e un bel pettine per la ragazza. Quella sera la capanna dei due anziani coniugi irradiava allegria, e quando fu ora di andare a dormire, la ragazza dichiarò che sarebbe rimasta sveglia per tessere qualche abito. I due si opposero, dicendo che era assolutamente necessario che lei si riposasse, ma la giovane insistette, ponendo in più una condizione: nessuno avrebbe dovuto andare a guardarla mentre lavorava. Un po’ sconcertati, i vecchi accettarono la condizione e andarono a dormire. Da quella volta, ogni mattina la ragazza ebbe pronto un rotolo di broccato che il vecchio vendeva in paese, ottenendo il denaro necessario a comprare le scorte per l’inverno. La cosa continuò per settimane, e più passava il tempo, più la ragazza sembrava indebolirsi, diventare pallida e dimagrire. Era come se fosse costantemente sul punto di svenire e, quando una sera si rifiutò di toccare cibo, i vecchi protestarono ed esortarono la ragazza a riposarsi di più. Per tutta risposta, lei chiese che le fosse permesso di preparare un ultimo rotolo di broccato, e si diresse nella sua stanza di lavoro barcollando e chiudendosi la porta alle spalle. Quella notte gli anziani coniugi erano talmente preoccupati per la giovane da non riuscire a dormire, così il marito decise di andare a vedere come stava la ragazza. Inutilmente la moglie cercò di ricordargli la promessa fatta, ma lui non volle sentire ragioni, e silenziosamente sbirciò attraverso uno spiraglio della porta della stanza di lavoro: sorpresa! Davanti al telaio non c’era la ragazza, ma una stupenda gru bianca intenta a tessere un broccato facendo uso delle sue stesse piume! Il vecchio, incredulo, entrò nella stanza, e appena la gru lo vide, si trasformò nella ragazzina. “Avevate promesso di non spiarmi mentre lavoravo” disse “Ero veramente felice di stare qui con voi, ma ora che avete scoperto il mio segreto, sono costretta ad andarmene. Mi dispiace” e così dicendo abbandonò il telaio, corse fuori dell’uscio, si ritrasformò nella gru, spiegò le ali e volò via. Il vecchio riconobbe la povera bestia che aveva salvato tempo prima dalla trappola nella palude. Con le lacrime agli occhi, i due osservarono la gru salire verso il cielo in ampi cerchi gridandole quanto le volevano bene, e prima che sparisse alla loro vista, il vecchio le lanciò il pettine che le aveva regalato. La gru lo prese nel becco, stridette con profonda tristezza e sparì fra le nuvole illuminate dalla luce della luna.”

Unryu-ji

 

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