L’autunno è uno dei periodi più belli per visitare il Giappone, non solo per ammirare la sua natura con lo spettacolo del foliage di cui abbiamo già parlato nel post La bellezza dell’istante nella poesia dell’Autunno, ma per sorprenderci anche con la vivacità delle sue antiche tradizioni. Il Tori-no-ichi o Fiera del Gallo è un mercato all’aperto tenuto a partire dal lontano periodo Edo, ogni anno a Novembre nel giorno del Gallo.


Secondo la mitologia Shintoista, il Gallo (Tori) è l’animale che aiutò a far uscire la dea del Sole (Amaterasu) dalla caverna in cui si era nascosta lasciando la terra nelle tenebre, e per questo è considerato simbolo di benessere materiale. Ma il Gallo è anche uno dei dodici segni zodiacali (Junishi) su cui si fonda il calendario orientale che in passato veniva combinato in Giappone al sistema Jikkan, dove i rispettivi animali erano attribuiti anche al giorno e all’ora. Questa scadenza si verifica proprio a novembre, 2 o 3 volte a seconda dell’anno, ogni 12 giorni.
Il primo giorno di questo mercato prende il nome di Ichi-no-tori (Primo Tori), il secondo viene chiamato Ni-no-tori (Secondo Tori) mentre San-no-tori (Terzo Tori) nel caso in cui accada tre volte come quest’anno nei giorni 6, 18 e 30 novembre. Il 2017 è inoltre molto speciale perché coincide proprio con questo segno e dunque oggi, secondo il calendario antico del Giappone, ci troviamo nel giorno, mese e anno del Gallo.




Queste fiere hanno luogo in molti santuari di Tokyo ma l’Otori jinja, nella zona di Asakusa, è sicuramente il più rinomato per questi festeggiamenti. Qui vengono allestite decine di bancarelle che espongono dei particolari stendardi in bambù simili a dei rastrelli chiamati kumade, zampa d’orso (“kuma” sta appunto per orso mentre “te” significa mano) e adornati con vari portafortuna, il cui augurio è di “rastrellare” a piene mani buona sorte e prosperità. Chi ha visitato il Giappone li avrà senz’altro visti all’ingresso dei ristoranti, nei musei o negli uffici tanto sono carichi di allegra benevolenza.
Colori, luci, aria di festa e cibo di strada; ogni bancarella espone le sue opere migliori, decorate con i simboli della prosperità e della salute.
Tra queste riconosciamo “le sette divinità delle fortuna” (shichifukujin) ed Ebisu, la divinità protettrice dei mercanti; il volto ridente della dea dei raccolti Okame, la carpa rossa (Koi) sempre portatrice di buona sorte, piccole balle di riso per augurare un buon raccolto, il koban, l’antica moneta d’oro a forma ovale, simbolo di buona fortuna; oppure la tartaruga e la gru entrambe simboli di longevità, ma anche la civetta simbolo di saggezza e di felicità. Ogni volta che si compie una vendita, i venditori battono le mani (tejime) al ritmo 3-3-3 e 1, accompagnando questo rito da grida festose; all’entrata del santuario si trovano delle grandi ceste per riporre i kumade acquistati l’anno precedente che verranno purificati a mano a mano che entrano nel grande sacco, prima di essere bruciati e sostituiti con quelli nuovi.




Nelle strade di Asakusa ci dimentichiamo per un attimo dei gardini zen, della cultura del wabi-sabi e dell’ikebana mentre ci addentriamo nella periferia pulsante del commercio e delle botteghe, che animavano la Edo di un tempo dove lo spirito dell’edokko, l’abitante di Tokyo, l’edochiano, pulsa ancora nell’intimo di questa città.