È difficile trovare un posto a Kyoto ancora inesplorato. La città è letteralmente disseminata di templi famosi e di luoghi splendidi ma è quasi impossibile trovarne uno che non sia affollato tutto l’anno. In una giornata di questo freddo inverno, persa in una delle tante librerie di Tokyo, nell’alto di uno scaffale è sbucata una rivista che mi ha portata al Tempio Tofuku-ji, facendomi scoprire un angolo della veccha capitale che mi era sfuggito. Qui ho ritrovato quel fascino tipico di Kyoto ed ho potuto ammirare le creazioni di Mirei Shigemori, il più grande architetto di giardini giapponesi dell’era Showa (1926-1988).


Le origini del giardino giapponese vanno ricercate nello Shintoismo, l’antica religione del Giappone basata sulla venerazione dei kami (divinità) e sul culto della natura. Viene però influenzato anche dal Buddhismo nato in India che diffusosi in Cina, arrivò in Giappone insieme alla filosofia Zen. Queste due religioni insieme al Confucianesimo che aspirava alla moderatezza, alla saggezza e alla meditazione, hanno da sempre ispirato tutte le espressioni artistiche del Giappone tra cui i giardini. Il kare-sansui, una tipologia di giardino propria del Buddhismo Zen, è composto da due soli elementi: roccia e sabbia (o ghiaia). Quasi nessun vegetale è permesso all’interno di questo paesaggio se non del muschio, per rispettare il concetto base della filosfia Buddhista: la semplicità. La roccia sta ad indicare la montagna o l’isola; la sabbia disposta sempre in modo ordinato o fluttuante rappresenta l’acqua dei mari, dei fiumi, dei laghi. Le pietre sono sinonimo di solidità e resistenza. Anche la forma è importante tanto che le rocce o i cumuli erbosi possono rappresentare alcune figure simboliche di importante valore nella tradizione e nella mitologia del Giappone come l’airone e la tartaruga.
Shigemori fa un uso sapiente di tutti questi simbolismi ma crea delle varianti senza precedenti. Il Giardino a Sud è dominato da quattro gruppi di roccia massiccia, che rappresentano le isole di Horai, Hoji, Eiju e Koryo su una distesa oceanica in tumulto di fine ghiaia bianca; sul fondo cinque cumuli di muschio rappresentano le montagne sacre. Il Giardino ad Ovest è invece una contrapposizione tra arbusti
di azalee tagliati in modo perfetto su un campo quadrato di ghiaia bianca. Linee geometriche e tagli netti ispirati dalla conformazione delle risaie riflesse anche nel suo nome “Seiden Ichimatsu”.

L’artista ripete questo gioco di geometrie anche nel Giardino a Nord dove vengono utilizzate le pietre delle fondamenta dell’entrata principale del tempio in contrasto con del muschio, formando un’irregolare scacchiera di chiaroscuro ad effetto.

Mentre i giardini Zen vengono solitamente progettati lasciando il muschio invadere il paesaggio gradualmente dall’esterno, Shigemori lo inserisce in una retta addirittura in cemento, che separa il muschio dalla ghiaia e che gradualmente va a dissolversi perdendosi ai limiti del giardino. È proprio questa coraggiosa introduzione di linee rette e griglie che gli valse le ire dei tradizionalisti giapponesi ma anche i consensi provenienti dall’estero che lo definirono “il Mondrian del Giappone”. Shigemori risponde affermando di essere stato ispirato dal tradizionale motivo Ichimatsu, un disegno a scacchiera di origini antiche che possiamo trovare anche nelle pareti della sala da té della celebre Villa Imperiale di Katsura costruita nel XVII secolo. Ma l’idea di Shigemori sembra prendere ispirazione anche dal giardino Fumon-in che si trova sempre all’interno del tempio Tofuku-ji, costituito da un incredibile tratto di sabbia suddiviso in quadrati perfetti di forte impatto emotivo.
Ma la sorpresa non finisce qui perché all’interno di questo rigore cubista troviamo invece il Giardino a Est, dove sette tronchi cilindrici in pietra prendono il posto delle solite rocce su un mare di ghiaia rastrellata e muschio ai margini. Inizalmente queste forme dall’aspetto artificiale ci colpiscono facendoci pensare ad una visione moderna dell’artista a quei tempi, ma scopriamo che in realtà sono state usate le pietre provenienti dalle fondamenta del vecchio gabinetto del tempio. Si tratta pur sempre di pietre simboliche che rappresentano le stelle del Grande Carro, noto in Giappone con il nome di Hokuto-shichi-sei.

Come un viaggio nel tempo all’interno del cambiamento politico e culturale del Giappone durante gli anni in cui si formò e visse questo artista; un approccio ibrido che parte dal passato per dare una nuova forma al presente, e certo una nuova direzione della creatività giapponese nel desiderio di superare la tensione percepita dall’incontro tra la dinamicità della Cultura Occidentale e la stasi attribuita in quegli anni alla tradizione Asiatica. Forse fu proprio questo a portarlo all’età di 29 anni a cambiare addirittura il suo nome da Kazuo a “Mirei”, prendendo ispirazione dalla pronuncia in giapponese del nome del celebre paesaggista francese Jean-Francois Millet. Nome a parte, è sicuro che il suo approccio filosofico al design dei giardini giapponesi abbia reinterpretato le influenze estere dando un respiro di nuova forza alla tradizione.
L’ha ribloggato su squarcidisilenzioe ha commentato:
La bellezza e la semplicità raffinata dei giardini Zen di Mirei Shigemori.
Un interessante articolo, uno tra i tanti, di Tokio Melange sulla vita in Giappone.
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