“Un affare di famiglia”. Il valore dell’imperfezione.

La perfezione, lo sappiamo bene, non esiste, ma il fatto di ricercarla può spingerci a migliorare aiutandoci a crescere anche come individui. Un cammino nel processo del divenire e dell’accettazione del limite umano che si sforza di andare oltre, sempre consapevole del suo essere imperfetto. È l’esaltazione del wabi-sabi che celebra la transitorietà e la decadenza della natura presente in tutto; senza mai giudicare ma valorizzando l’errore, purché questo ci consenta di capire e di cambiare.
Non si può certo rimanere impassibili di fronte agli interrogativi che ci pone Hirokazu Kore-eda sul significato della famiglia, dei legami di sangue e sulla scelta degli affetti. Nato nel 1962 nella prefettura di Nerima, a nord-est di Tokyo, è uno dei fiori all’occhiello della Waseda University che ha donato al Giappone personaggi illustri in vari campi spaziando dalla politica, all’industria, sport e letteratura come il noto Haruki Murakami.
Un affare di famiglia .
Un affare di famiglia (万引き家族), Palma d’Oro al Festival di Cannes, ritrae una Tokyo pulsante ma ben lontana dal minimalismo zen a cui ci hanno abituato i media odierni che ritraggono il Giappone come la mecca del benessere e della perfezione. Ai limiti dell’immensa periferia di questa capitale dai mille volti, Kore-eda punta invece i riflettori su una famiglia di “taccheggiatori” -come indica il titolo originale- composta dalla nonna, due donne adulte, un uomo e un bambino, a cui si aggiunge una bimbetta maltrattata dai genitori. Nello spazio logoro di questa baracca ridondante di cenci e roba vecchia, la vita scorre nel suo fluire imperfetto scandito dai freddi inverni e dalle piogge estive; tra lavori saltuari e piccoli furtarelli, con i quali sopravvivere alla cruda realtà dei salari insufficienti e di un precariato che fa parte ormai del linguaggio comune. Ma è proprio in questa tana ricolma di affetto, sorrisi e condivisione in cui i “figli” provano l’amore della famiglia e lo scelgono deliberatamente lasciandosi alle spalle i soprusi e le percosse dei genitori veri. I colori soffusi dipingono quel mondo lontano dai riflettori dei consumi e del perbenismo, della famiglia stabilita e della legalità che ci vuole tutti rispettosi delle leggi e benestanti, ma spesso noncuranti dei sentimenti.  Sulla paglia di questi tatami che trasuda esistenza, i personaggi appaiono invece crudi e spogliati d’ogni avere ma uniti e sinceri. Esenti da ogni colpa, nel rispetto del pensiero più profondo del Giappone che non giudica tra bene e male, giusto o sbagliato, mettono se stessi di fronte alla libertà di scegliere  in una sorta di pietas che non vede peccatori o pentimenti. Fingere di non vedere o riconoscere la sofferenza, confessare o tacere, accogliere o lasciar correre. Tutto è relativo di fronte a quel fiume di emozioni che trabocca in un susseguirsi di momenti che diventano poesia; il rito del bagno, la condivisione del cibo, un abbraccio davanti al fuoco, il rumore dei fuochi d’artificio, una lacrima di tristezza, la vista del mare e parole mai dette ad alta voce come “padre”, vengono sussurrate solo al vento creando un legame forte e consapevole che va oltre a quello degli obblighi di parentela.
Un racconto intenso, graffiante ma delicato ci ricorda che i legami di sangue non bastano per formare una famiglia rendendoci padri, madri o figli di diritto. Un mondo imperfetto in cui Kore-eda si schiera dalla parte di ladri e prostitute, prendendo le parti dei più deboli che comunque perderanno ritornando da quei genitori “ufficiali” che li hanno maltrattati e denigrati, spalancando però le porte su una realtà che ci circonda. Nel piccolo cinema di Shimotakaido, in un’atmosfera lontana dalle grandi sale di Tokyo, guardo lo schermo e ricordo un vecchio cinema di quartiere a Sangenjaya dal sapore un pò retró come gli schizzi di questa locandina, dove a metà degli anni ’90 mi fermavo nei week-end con le borse della spesa per vedere qualche film e pensare, nel frattempo, al mio domani. Oggi mi guardo intorno; siamo tutti in silenzio ad osservare questa sorta di denuncia coraggiosa e la sofferenza del regista, ma sempre a meditare sullo “spettacolo” imperfetto della vita nella speranza di uscirne un pò migliori.

5 commenti Aggiungi il tuo

  1. wwayne ha detto:

    Tra i film ambientati in Giappone mi è piaciuto molto anche Silence: l’hai visto?

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    1. tokyomelange ha detto:

      Si, l’ho visto. Un film carico di sofferenza e spunti di riflessione, a livello personale ma anche sul Giappone e la sua cultura! 🙂

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      1. wwayne ha detto:

        Anche quest’altro film fa molto riflettere: https://wwayne.wordpress.com/2014/07/21/andare-controcorrente/. L’hai visto?

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      2. tokyomelange ha detto:

        No, non l’ho visto ma dopo aver letto il tuo post lo cerchero’. Grazie mille per il suggerimento!

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      3. wwayne ha detto:

        Grazie a te per la risposta! 🙂

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