Tradotto in modo approssimativo come “carino”, kawaii è di sicuro una delle parole giapponesi più usate. Chiunque abbia visitato questo paese la conosce anche perché è impossibile non ritrovarsi letteralmente sommersi da un mondo di mascottes coccolose pensate per ogni cosa. In senso ampio, il termine descrive l’insieme di tutte quelle cose ispirate a personaggi immaginari che incarnano un senso di tenerezza a cui sembra impossibile resistere. Nato come tendenza culturale distintamente giapponese, il concetto si è tuttavia evoluto nel fenomeno mondiale che è oggi, diffondendosi attraverso molti aspetti della vita moderna, tra cui arte, moda, tecnologia e persino nel cibo.
La parola kawaii (可愛い) deriva alla trasformazione del termine “Kaohayushi” ( 顔映ゆし) che letteralmente significa “sentirsi in imbarazzo” , usato in origine per identificare qualcosa di timido, patetico, vulnerabile, imbarazzato, adorabile e piccolo, dunque amabile per definizione. Ma la cultura giapponese del carino, cosi come lo intendiamo oggi, ebbe inizio intorno agli anni ’70, grazie ad un movimento, trainato dalle giovani adolescenti, che in quegli anni mise l’accento su un tipo di grafia tipicamente infantile definita “maru-ji” simile a quella dei bambini arricchita da cuoricini, stelline, caratteri latini e faccine.
Molti studiosi attribuiscono il sorgere di questa tendenza ad una reazione dei giovani di allora alla rigidità del Giappone post seconda guerra mondiale, dato che la ricerca del kawaii permetteva alle giovani generazioni di trovare quel senso di giocosità in un ambiente, al contrario, molto serio e spersonalizzato. Dalla scrittura si passò presto ad un cambiamento anche nello stereotipo della bellezza femminile. Le donne iniziarono così ad imitare uno stile definito “burikko” che significa appunto una “donna che si atteggia da bambina”, ritraendo una sorta di innocenza che le rendeva partners dolci e amorevoli soprattutto agli occhi dell’altro sesso, in un momento storico in cui la donna si stava comunque imponendo con ruoli sempre più evidenti all’interno della società.
Di pari passo la produzione artistica contribuì ad espandere il concetto facendolo conoscere pian piano al mondo intero.
Tra i fondatori della cultura kawaii nell’arte il primo da citare è sicuramente l’illustratore Rune Naito, i cui disegni negli anni 1950-1970 presentavano figure con teste grandi e tratti infantili che si allontanavano dai tradizionali standard giapponesi di bellezza. Nel ’74 assistiamo anche alla nascita di Hello Kitty che mostrò prima di tutto alle aziende giapponesi come kawaii potesse rappresentare una fonte di grossi guadagni attraverso una miriade di gadgets ed altre iniziative commerciali. D’altra parte anche i tratti degli innumerevoli shojo manga, i fumetti giapponesi rivolti alle giovani adolescenti, alimentarono pienamente questa tendenza con le loro eroine dagli occhi grandi, dalle faccine timide e decisamente kawaii tra cui Candy Candy di Yumiko Igarashi, che approdò con successo nei nostri schermi negli anni ’80, oppure altri personaggi come Lady Oscar e il grande successo di Sailor Moon degli anni ’90.
È così che passo dopo passo lo stile kawaii iniziò ad evolversi in vari sotto-generi di “carineria” come il guru-kawaii (carino grottesco), ero-kawaii (carino erotico), kimo-kawaii (carino disgustoso) o busu kawaii (carino brutto). Di ognuno troviamo vasti esempi nella cultura pop del Giappone, certamente all’interno delle produzioni manga ed anime, ma anche nella moda, che vede le sue lolite sempre pronte ad abbracciare nuovi stili, ed in una nuova evoluzione della produzione artistica sempre pronta a cogliere ispirazione dai cambiamenti del sociale.
Uno tra i maggiori artisti contemporanei che abbia abbracciato questo stile è sicuramente Takashi Murakami nato a Tokyo nel 1962 e fondatore del movimento Superflat, basato proprio sulla mania della dolcezza giapponese, in particolare ispirata al mondo di manga e anime, a metà strada tra la produzione artistica e la cultura del commercio. Attraverso la sua esplorazione Murakami attinge alle forme tradizionali dell’arte giapponese, insieme a manga e anime, riferendosi al “vuoto superficiale della cultura consumistica del Giappone”. Un concetto inizalmente criticato ma nel quale Murakami stesso si è trovato intrappolato dopo essere stato paragonato a Andy Warhol per aver abbracciato i metodi della produzione di massa e la manipolazione di immagini popolari riprese dai media.
Un altro artista di fama mondiale appartenente a questo movimento è Yoshitomo Nara, nato nella prefettura di Aomori nel 1959 ed attivo nella scena artistica dalla metà degli anni ’80, ma conosciuto indirettamente anche per aver illustrato molte delle copertine di Banana Yoshimoto all’estero. I suoi dipinti alquanto ambivalenti, ritraggono bambini e animali dagli sguardi al contempo innocenti e sinistri, dove la crudeltà e l’orrore della violenza viene vista come un prodotto negativo della società adulta, criticata dall’artista in una sorta di denuncia. Anche in questo caso possiamo ritrovare un’altra sfacettatura, o meglio, una distorsione del concetto di kawaii che ha portato il suo messaggio al mondo intero.
Insomma parlare di kawaii significa affrontare una serie di cambiamenti che hanno dato origine a molte sfacettature nel sociale, nel modo di atteggiarsi, mutando nel tempo anche il panorama del Giappone e la sua percezione all’estero. Un pò come osservare all’interno di un caleidoscopio quell’insieme di tendenze che spaziano dalla comunicazione, arte, musica fino a diventare un fenomeno commerciale e una denuncia della società stessa. Chiave comune di questa espressione ruota comunque intorno all’innocenza, alla rotondità, alla ribellione pacifica, incarnando un significato di positività, colore e fantasia, indicandoci come ciò che appaia amabile per definizione, non debba essere per forza sinonimo di debolezza o banale superficialità.
molto interessante,piacevole da leggere e capace di ampliare gli orizzonti di chi legge.
ti mando un saluto
marina
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Grazie a te Marina sempre presente e attiva in questo percorso che attraversa le mille sfacettature di questa cultura.
Un caro abbraccio!
tokyomelange
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Ricambio l’abbraccio:)
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